Il tempo che trova
di Pierluigi Lanfranchi è un libro surreale, e pure tremendamente reale. È il
tempo che trova l’uomo, la donna, i figli, la vita, le cose, la storia, i miti
che dalla loro lontananza illuminano il presente, il futuro, il passare della
vita. In questo libro - storie raccontate in versi o in prosa poetica (potente
suggestione è l’incontro con Brodskij in un viaggio onirico), con una lingua
esatta, evocativa - entrano tutti i sogni possibili. L’oniricità del pensiero
cosparge spesso i momenti esperienziali. Il tempo passa, il tempo si ferma,
salta anche la relatività. Il poeta spazia dai miti alla quotidianità,
situazioni tutte filtrate dal sogno che può essere incubo o elegia. La
geografia, lo spazio, le città (Parigi, Vilnius, Montreal), non sono solo dimensioni
fisiche, sono anche ipotesi di tempo. E se il tempo non è misurabile, sono
l’uomo, o la donna, o le cose, ad essere tangibili come ipotesi di vita, ma mai
come certezze. Eppure, con Properzio, “la morte non tutto finisce”. Tuttavia
insiste il niente alla fine della peregrinazione, però “con te anche niente è
già qualcosa”. E questo attiene alla speranza, che non ha nulla in comune con
il tempo indefinibile. Il filo del pensiero, che vede il nero e il bianco, che
sente il suono e il silenzio, non si spezza, e annoda gli sprazzi di malinconia
o di esultanza. Esiste quindi ancora una possibilità di vita, ma non da soli.
(Ottavio Rossani)
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